L’uomo sta perdendo qualsiasi contatto reale con la Natura, coi suoi simili e persino con la sua più intima e profonda essenza.
Ci sarebbe davvero da ricominciare da zero, per provare a ripartire su basi nuove, ma zero è un non numero, e quindi nunn’è cosa, direbbe l’inarrivabile Troisi, meglio quindi, come c’insegna lui, ricominciare da tre.
Primo: ricordiamoci che la Natura non esiste perché esistiamo noi, la Natura esisteva prima della comparsa dell’Uomo ed esisterà dopo la sua scomparsa.
Sarà bene quindi che facciamo scomparire immediatamente quel ghigno di superiorità dal nostro volto: noi non siamo superiori a nessuno, siamo organismi (o meglio un complesso organismo di cellule interspecifiche cooperanti tra loro: vedi La nostra più intima e profonda essenza), che vivono su questa Terra come miliardi di altri, di specie diversa dalla nostra.
Covid-19 dovrebbe averci fatto ricordare che virus e batteri sono arrivati prima di noi, costituiscono parte essenziale e rilevante del nostro organismo – al punto che noi siamo fatti di loro e loro di noi – e di sicuro ci sopravvivranno, perché dovremmo sapere che l’estinzione di una specie è un fenomeno naturale, quindi non si capisce per quale motivo noi dovremmo fare eccezione. Secondo alcuni scienziati, ci troviamo alle soglie della sesta estinzione di massa, perché se non invertiamo rotta nei prossimi decenni potremmo perdere il 60% delle specie viventi. E questa volta per causa non di asteroidi o glaciazioni, ma nostra: una sola specie a minacciare tutte le altre.
Dovremmo anche sapere che la nostra tecnologia non ci rende immortali e neppure superiori, al massimo, se usata bene e autolimitata, potrebbe aiutarci a vivere meglio, se usata male, accelera soltanto la fine della nostra specie e d’un certo numero di altre che ci porteremo dietro.
Secondo: non dimentichiamo mai che ognuno di noi esiste, perché esiste l’Altro e perché sono esistiti altri prima di noi.
Nessun uomo è autosufficiente, perché «nessun uomo è un’isola, completo in se stesso» (John Donne, 1624), ma ognuno di noi è un frammento di quel continente che è l’umanità, perché, evidenziava Albert Einstein, «la maggior parte delle nostre azioni e dei nostri desideri è collegata all’esistenza di altri esseri umani».
Ognuno di noi, sin da bambino, ha paura di sentirsi solo ed ha una necessità fisica di calore umano e cresce imitando e interiorizzando i gesti, le parole e i comportamenti dei propri simili. E questo fa dell’uomo un animale storico, nel senso che si nutre della cultura della comunità in cui vive, figlia a sua volta dello stratificarsi delle esperienze delle generazioni passate.
La storia è la materia che ci colloca nella nostra giusta dimensione. Ci ricorda che siamo soltanto un minuscolo granellino nel succedersi incessante degli eventi e delle generazioni, ma al contempo ci fa comprendere pure quanto ogni singolo granellino abbia un suo ruolo e una sua importanza nel procedere verso il futuro d’una comunità. Soprattutto ci parla di società, culture e civiltà. Poi ci dice pure qualcosa di qualche singolo individuo, fondamentalmente per farci capire quanto sia facile passare dagli altari alla polvere.
Il pieno riconoscimento del diritto all’esistenza dell’Altro e la consapevolezza del nostro ruolo nella Storia, dovrebbero essere sufficienti per non farci più tollerare le disuguaglianze e le prevaricazioni dell’uomo sull’uomo.
Terzo: riacquistiamo un rapporto più armonico con noi stessi.
Ricominciamo ad ascoltare il nostro organismo e ad assecondarlo, sapendo che siamo esseri unici e la ricetta giusta per noi, la possiamo trovare solo dentro di noi, nella consapevolezza che stiamo bene solo se corpo, mente e anima sono in armonia. Ricominciamo ad allenare tutti i nostri sensi, a muoverci usando le gambe, ad utilizzare le braccia e le mani per costruire qualcosa di solido e tangibile, per combattere la lenta agonia del virtuale che ci sta affogando.
Per capire che livello di dipendenza dal virtuale abbiamo raggiunto, facciamo un esperimento: consegniamo il nostro smartphone ad un amico, pregandolo di resistere ad ogni nostra supplica. É garantito: dopo due ore stiamo pensando di ammazzarlo pur di riavere l’arnese, di risentire tra le mani il conforto di quella che è diventata la nostra guida quotidiana, l’oracolo che risponde ad ogni nostra domanda.
Se per caso riuscite a resistere più a lungo e magari ad arrivare a 24 ore, scriveteci subito, che abbiamo bisogno di voi, per insegnarci come si fa. Come si fa a riappropriarci della nostra autonomia, di vita e di pensiero, ad alleggerirsi del superfluo, a liberarci dalle nostre dipendenze artificiali. Come si fa a rifuggire dal mantra consumistico e dai suoi modelli inarrivabili e illusori, cui segue, sempre e inevitabile, il senso soffocante del fallimento e dell’inadeguatezza.
Non c’è nulla che accresca la nostra autostima che fare qualcosa di cui non ci credevamo capaci o che non facevamo da tempo o di cui non coglievamo l’importanza. Aiutare qualche sconosciuto a portare la spesa, per esempio – anziché neppure vederlo, immersi come siamo nei led del nostro cellulare – rinforza contemporaneamente muscoli, empatia e autostima. La ricetta è semplice e antica: se stiamo bene con noi stessi, staremo inevitabilmente bene anche con gli altri.