Non può lasciarci indifferenti il grido d’allarme lanciato da Federico Rampini: «In America soffia un vento di panico per le performance strepitose di ChatGPT, l’intelligenza artificiale che alla velocità della luce scrive articoli, saggi, su ordinazione, su qualsiasi tema, con una qualità elevata e spesso superiore a quella di noi umani. Ora quel vento di panico lo sento anch’io. Ho simulato una sorta di gara con ChatGPT, e sono sotto choc. Ho il vago sospetto di aver perso io» (Corriere della Sera, 11 febbraio 2023).
Dobbiamo prendere atto che viviamo in un’epoca in cui la tecnica ha preso il sopravvento su ogni altra forma del pensiero umano.
«La tecnica non è la tecnologia degli oggetti che tutti noi utilizziamo … La tecnica non promuove un senso, non ci darà alcuna chance di salvezza, non redime, non dice la verità: la tecnica funziona. E il fulcro del suo funzionamento – ossia la regola per cui occorre raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi – è diventato globale. Se questa forma di razionalità, astratta e univoca, non solo vive nell’azienda, ma diventa la forma con cui noi pensiamo e per cui noi ragioniamo, allora la situazione diventa molto pericolosa, perché l’uomo è condannato a uscire dalla storia, essendo costituito anche da elementi di irrazionalità. Questi aspetti dell’esistenza umana, per la tecnica, sono tutti “inciampi”. E allora, in una condizione di questo genere, come è possibile per l’uomo salvarsi se la parte irrazionale viene eliminata dalla parte razionale?» (Umberto Galimberti e Paolo Iacci, Dialogo sul lavoro e la felicità, 2021).
La tecnica si occupa solo dell’istantaneo accadere, nulla ci dice del perché accade e delle conseguenze future di quell’accadere. Ed in questo modo esilia la nostra componente irrazionale, dimenticando che è quest’ultima a spingerci ad andare oltre, a esplorare i confini del conosciuto, e che essa si nutre di emozioni e di domande, traducendole in arte, creatività e scoperte nuove, anche scientifiche. Non c’è umanità – e neppure scienza – senza irrazionalità.
Ettore De Lorenzo, in Internet e noi: fra algoritmi, Big Data e i colossi del web, siamo davvero liberi?, pubblicato su Poliorama il 16 luglio 2021, ci spiega benissimo come stanno le cose.
«A ben vedere, la domanda che dieci anni fa si poneva Carr [Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Cortina edizioni, 2011) oggi è più attuale che mai.
Le nostre vite sono governate da algoritmi: ci alziamo la mattina e controlliamo i social, convinti di essere gli assoluti proprietari dello spazio che ci siamo costruiti nel web. E invece non è così. I destinatari dei nostri messaggi non li decidiamo noi ma, appunto, gli algoritmi, sempre più precisi e “intelligenti” … perché gli algoritmi non fanno altro che esaltare le nostre abitudini mettendoci su binari comodi e sicuri.
Dunque, perché lamentarsi se questi strumenti ci aiutano ad avere esattamente quello che vogliamo e ad arrivare proprio dove volevamo andare? In fondo ci semplificano la vita … Ma è davvero così? In verità, non proprio.
Ulisse, che con il suo viaggio ci ha consegnato gli archetipi dell’uomo moderno, ci ha infatti insegnato che l’unico modo per scoprire qualcosa di nuovo è osare, anche rischiando di perdersi. Anzi, è proprio perdendosi che si impara di più, perché si entra in contatto con parti di noi non conosciute e se ne sperimentano le reazioni, i comportamenti, le paure, i desideri. Ulisse ci ha trasmesso un concetto decisivo per lo sviluppo dell’essere umano: non può esserci evoluzione senza scoperta, non può esserci scoperta senza rischio. Anche le Americhe furono scoperte cercando le Indie, ed è utile ricordare che gran parte delle più importanti scoperte scientifiche sono avvenute cercando altro, quasi per caso, per incidente.
Ecco, la domanda che dobbiamo porci oggi è proprio questa: la rete ci consente di perderci? Il web favorisce il confronto tra idee diverse? Le grandi scoperte (interiori e sociali) e i grandi cambiamenti sono ancora possibili ai tempi del pensiero globale? Oppure è già tutto deciso e preordinato da un algoritmo che ci porta dove vuole lui (e dove, in base alle nostre scelte precedenti, si presume noi troviamo la nostra gratificazione)? La domanda che ci facciamo, insomma, è di quelle importanti: siamo davvero liberi?
Naturalmente non è facile rispondere, perché apparentemente non abbiamo mai avuto tanta libertà come quella di cui disponiamo oggi. Ma è davvero così? Siamo davvero così liberi di scegliere oppure siamo manipolati e guidati da freddi algoritmi che altro non fanno che chiudere i nostri orizzonti facendoceli però sembrare ancora più belli e più grandi? …
Tutto è diventato immediato, rapidissimo, accelerato, e comunicare non è mai stato così facile e veloce. Ma cosa stiamo sacrificando sull’altare della velocità? Beh, sembra evidente che la vittima di questi processi così veloci sia proprio la profondità di analisi. Non c’è più tempo, infatti, per approfondire, e neppure ci sembra importante farlo … Questa velocità sempre più spinta di acquisizione e scambio di informazioni sta modificando un po’ alla volta il nostro cervello, disabituandolo a cercare la verità nelle pieghe delle informazioni che apprendiamo …
Ognuno, oggi, si sente padrone del proprio spazio in rete, e attraverso i social fortifica anche la sensazione di stare sempre dalla parte giusta, visto che aggrega quasi solo consensi.
Questa illusione produce un grave distacco dalla realtà “reale” e l’illusione di possedere la verità da parte di chiunque. Insomma, internet gioca un ruolo determinante nella costruzione di un mondo in cui ognuno crede di stare dalla parte giusta, alimentando una pericolosissima autoreferenzialità e, soprattutto, erigendo una società basata sull’iper-relativismo …
Un’altra questione che contribuisce a minare e a comprimere la nostra capacità di esprimere pensiero critico è il modo in cui fruiamo delle informazioni sul web. In nome della velocità, i post (e gli articoli) devono essere sempre più brevi, perché altrimenti si perde l’attenzione del lettore, e questo non fa altro che alimentare banalizzazioni e semplificazioni anche di realtà molto complesse per le quali ci vorrebbero anni di studio per una corretta analisi. Non è un caso che negli ultimi anni, il mezzo più usato per comunicare è il video … C’è un tutorial per ogni esigenza, e persino la scuola si serve sempre di più di immagini e sempre meno di parole per trasferire conoscenza agli studenti …
La lettura e la visione dei video lasciano in noi umani sedimenti di conoscenza molto diversi tra loro: le parole rimangono scolpite nella nostra mente e alimentano pensiero critico, mentre i video scivolano via molto più veloci offrendoci molte meno possibilità di analisi. Il video (l’immagine) ha a che fare con la parte più istintuale di noi, mentre le parole forniscono carburante prezioso per sviluppare pensieri complessi. Ma la complessità, evidentemente, non interessa più a nessuno: troppo faticosa, troppo impegnativa, e perché fare tutta questa fatica se abbiamo la possibilità di ricevere risposte immediate (e gratificanti) alle nostre domande? …
Non a caso, i proprietari delle grandi company digitali sono diventati i veri padroni del mondo, sia in termini economici (scalzando in pochi anni i produttori di beni materiali), che per la loro capacità di orientare e manipolare le masse, dividendole e disgregando i corpi sociali. I Grandi player tecnologici, insomma, si stanno pian piano prendendo il mondo, lo stanno riorientando, modificando i nostri comportamenti e le nostre relazioni, e infine il nostro stesso modo di pensare».
La remissività e, in taluni casi, l’entusiasmo con cui le nuove generazioni – e non solo – accolgono l’avanzata dell’intelligenza artificiale in ogni aspetto della vita pongono interrogativi angoscianti sul nostro futuro, sul tipo di società in cui vogliamo vivere. E pongono l’accento sulla totale irragionevole inconsapevolezza di questo nostro consegnarci, anima e corpo, alle APP, che ci espone alla perdita irreversibile di qualsiasi capacità di risolvere autonomamente i nostri problemi quotidiani.
Eppure siamo nel pieno di guerre di trincea, come nel secolo scorso, di pandemie gestite come la peste manzoniana, di povertà crescenti, di precarietà sistematica, di calamità naturali devastanti, e mai come in questi giorni dovremmo capire che il kit di sopravvivenza di cui abbiamo davvero bisogno è fatto di resistenza alla fatica, di capacità di fare e di responsabilità di scegliere, di coraggio e di forza d’animo, di ingegno e di empatia. Ovvero, semplicemente, di umanità.