Invece di definirle migrazioni di massa si dovrebbe chiamarle “deportazioni indotte”. Sono queste le parole scelte da Don Luigi Ciotti in un articolo comparso su La Stampa di lunedì 27 febbraio, per definire la strage di Cutro.
“L’unica cosa che va detta ed affermata è: i migranti non devono partire. La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”.
La scelta lessicale del nostro Ministro degli Interni, all’indomani della tragedia consumatasi al largo delle coste calabresi, ha invece il sapore dell’indifferenza e dell’ignoranza.
“Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano ad organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici.Lo fa solo perché è costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza, sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo.”
Un’indiretta replica che Don Ciotti rivolge a chi sembra voltare il capo dalla parte opposta, dimenticando quella “silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno trent’anni sotto gli occhi di un ricco Occidente che finge di non vedere […], che si palleggia responsabilità, per poi tornare, passato il clamore, alla sola attività che sembra davvero interessarlo: il conflitto per la gestione del potere, in nome dell’idolo profitto.”
Solo chi non è in grado di manifestare interesse e un pizzico di empatia può tentare di attribuire colpe a cuor leggero alle stesse vittime di una strage. Solo chi ignora la storia del nostro popolo può dimenticare che, sfidando la sorte con viaggi in condizioni estreme, 30 milioni di italiani dal 1861 hanno cercato fortuna all’estero.
Come si può creare un sistema totalmente fondato sul debito, che veicola la ricchezza nelle mani di pochi, per poi stupirsi se si generano situazioni di povertà estreme? Votato al dio Denaro l’Occidente determina condizioni di morte prematura, sacrificando sulla croce i suoi figli, rei di esseri nati dalla parte sbagliata del mondo. Non pago, poi, li colpevolizza per il tentativo di affrancarsi dalla sofferenza e li trafigge definitivamente con la parola, negando i principi cardine enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata” (art.1).
Il tempo porterà alla luce verità e responsabilità, ma non certo le vite di una settantina di persone le cui speranze si sono inabissate a poche miglia dalla terraferma. Riscattare queste vite e restituire dignità alle vittime innocenti lo si può però fare sin da subito, scegliendo con cura nel mare di parole che la lingua italiana ci mette a disposizione, quelle migliori con cui infarcire le dichiarazioni ufficiali.
“Tutti noi essere umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo”. Era il 1940 e Charlie Chaplin, ne Il dittatore, orgogliosamente affermava: “Non sono cittadino di nessun posto, sono un patriota dell’umanità nel suo complesso. Io sono un cittadino del mondo”.
Un mondo nuovo è forse ancora possibile?